Bookcoaching: “Due o tre cose che so di sicuro” di Dorothy Allison

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“Ci sono due o tre cose che so di sicuro,
e una di queste è che preferirei camminare nuda
piuttosto che indossare il mantello che il mondo ha creato per me.”

 Ci sono parole che bruciano. Non per il loro tono, ma per la verità che portano dentro. Le parole di Dorothy Allison appartengono a questa categoria. Quando le leggi, senti un sussulto, anche quando non ti identifichi nella sua storia, per fortuna.

Allison in Due o tre cose che so di sicuro parla di dolore, povertà, violenza, vergogna. Ma soprattutto, parla di identità. Dell’urgenza di non lasciarsi definire da chi ci vuole piccole, sottomesse, vergognose della nostra storia. E lo fa attraverso il potere delle storie, le proprie e quelle delle donne che l’hanno preceduta: la madre, le zie, le sorelle. Donne intrappolate in un sistema patriarcale che ha fatto dell’ignoranza una legge e del silenzio un’arma.

In questo contesto, raccontare diventa un atto di ribellione. Un modo per dire “Io ci sono”, anche quando il mondo ti vuole invisibile. E non solo: raccontare diventa anche uno strumento di guarigione, di trasformazione, di libertà.

“Nessuno mi aveva detto che quando scappi porti con te il tuo mondo, che scappare diventa un’abitudine, che il segreto di ogni fuga è sapere perché stai scappando e dove stai andando,
e lasciare indietro il motivo per cui lo fai.”

 Chi non ha mai sognato di fuggire? Di lasciarsi alle spalle una vita che stringe, che fa male, che soffoca?
Ma Allison avverte: non basta correre. Se non conosci bene da dove stai scappando e, soprattutto, dove vuoi arrivare, rischi di portarti dietro esattamente quello da cui stai tentando di liberarti.

 Come coach, ho spesso incontrato persone che cercavano un cambiamento, ma senza una vera mappa interiore. E allora sì, cambi città, cambi lavoro, cambi partner… ma il vuoto, la rabbia o la paura sono ancora lì, seduti accanto a te nella nuova casa.

 La via della trasformazione non è la fuga in sé, ma la consapevolezza. Sapere chi siamo, da dove veniamo, cosa ci ha ferite e cosa desideriamo davvero. Solo così il cammino può diventare emancipazione e non ennesima prigione.

 Ed è qui che la narrativa torna a essere fondamentale.

 Raccontare la nostra storia, anche solo a noi stesse, è il primo passo per comprenderla, per vedere i nodi, i dolori, ma anche le risorse che ci abitano. È l’inizio di una nuova possibilità.

 Allison invita a fare una scelta scomoda ma necessaria: preferire la fatica della verità alla comodità di una maschera. “Preferirei camminare nuda…” dice, e questa immagine ci parla della vulnerabilità, della vergogna che spesso ci viene inculcata, ma anche del coraggio profondo di chi sceglie di esporsi per ciò che è.

 Camminare nuda è un gesto radicale. Significa mostrarsi senza protezioni, senza ruoli imposti, senza i veli che ci fanno sentire “accettabili” agli occhi degli altri. È un atto di verità e libertà insieme.

 Quante volte indossiamo il “mantello” che il mondo ci ha cucito addosso? Quello della brava ragazza, della madre perfetta, della professionista sempre all’altezza, della donna che non deve disturbare?

Allora, oggi, ti invito a fare un piccolo esercizio di scrittura:

 Qual è il “mantello” che senti di indossare per compiacere il mondo? E cosa accadrebbe se lo lasciassi andare, anche solo per un momento?

 Scrivilo, raccontalo. Non per avere tutte le risposte subito, ma per iniziare a cercarle.

 Perché una cosa la so di sicuro anch’io: la tua verità vale. Anche se fa tremare. Anche se ti fa sentire esposta.

 E forse, è proprio lì che comincia la tua vera libertà.

 

 

 

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