Un libro mi disse: “Una barca nel bosco” di Paola Mastrocola (post di Cristina Lantone)

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La rubrica Un libro mi disse prende spunto dal libro di Tiziano Terzani Un indovino mi disse: qui l’autore racconta di come la profezia di un indovino, da lui accolta in bilico tra gioco e cauta credulità, lo invitò a fare delle scelte che lo aprirono a nuove esperienze, permettendogli di scoprire un suo mondo tutto interiore. Ho scorto un parallelo con il fatto che spesso leggere un libro, un romanzo, un racconto, potrebbe essere l’occasione per conoscere meglio se stessi e dare una svolta non programmata alla propria vita.
Per la rubrica Un libro mi disse nel post che segue Cristina Lantone ha scelto di raccontarci le sue emozioni scaturite dalla lettura di Una barca nel bosco di Paola Mastrocola: un rinnovato senso di disagio e un conforto, seppur tardivo, nel non essere sola a viverlo.
Buona lettura! 

Leggere, per me, è sempre stata un’esperienza immersiva. Proprio come se indossassi un visore, mi intrufolo fra le pagine di ogni libro, assaporandone odore e spessore, e vivo mille e più vite, a volte emozionandomi, a volte provando fastidio, a volte sorridendo, fino ad arrivare all’ultima riga con un senso di sazietà molto prossimo alla felicità pura.
Ma con Una barca del bosco di Paola Mastrocola, non è stato così. Io non ero più una lettrice, io ero il protagonista e quel libro avrei potuto scriverlo io.
Il viaggio emozionale è cominciato fin dalle prime pagine, con quel senso di smarrimento che Gaspare prova con l’arrivo nella nuova scuola di Torino: anche io provai sensazioni analoghe nel mio primo ingresso al liceo, quell’angoscia di sentirsi e vedersi diversi era la mia. Anche se io non venivo da una piccola isola e non indossavo scarpe marroni con i lacci, mi sono ritrovata a recuperare nella mia memoria, pagina dopo pagina, un vissuto di dolore per quel primo approccio nei confronti di una scuola che doveva essere, in primis, luogo di studio e di formazione e che, in pochi giorni, mi accorsi, era invece una sorta di piccola succursale parvenu del “borgo”, il centro della mia città di Provincia… Guardarono anche me con derisione e anche io, come Gaspare, mi sentii a disagio, fuori luogo, pur essendolo, in realtà, molto meno di quei ragazzini che neppure sapevano leggere in modo spedito e pretendevano comunque di frequentare un liceo classico. Non trovavo anche io abbastanza termosifoni a cui appoggiarmi per fare trascorrere quel quarto d’ora dell’intervallo e il fatto che, proprio lì, abbia trovato una delle mie migliori amiche di sempre, non cancella o attenua il bruciore che aleggia in fondo ai miei ricordi di scuola. Ed è un bruciore misto al rammarico di aver comunque addossato sui miei genitori la colpa di “non essere abbastanza”.
Anche Gaspare pensava di non essere abbastanza, o che una cintura uguale a quella che tutti indossavano avrebbe potuto fare il miracolo: renderlo trasparente, uguale agli altri, annullando gli sguardi indagatori. Anche lui, come me, si sentiva sempre in ritardo: anche ammettendo di riuscire a tenere il passo, il punto segnato a mio favore, arrivava comunque sempre troppo tardi. Riuscire a dire, fare, indossare quello che gli altri dicevano, facevano, indossavano, era una fatica continua, che non teneva conto di ciò che davvero il mio cuore desiderava. Certo, nel mio caso, molto ha giocato la timidezza che non aiuta a sentirsi a posto sempre e comunque, soprattutto nella più fragile età adolescenziale. Ma se avessi letto allora questo libro meraviglioso, se avessi potuto scoprire in quel momento, mentre le vivevo, che non ero l’unica a provare quelle emozioni e quel senso di malessere pungente, forse mi sarei sentita meno sola. Perché, in fondo, è questo che è successo leggendo queste pagine, mi sono sentita letta dentro, compresa.
A un certo punto, Gaspare dice “Io non ho mai pensato alla ricchezza o alla povertà fino ad ora”, le sue priorità sono altre ed è un disincanto scoprire che non tutti vivono delle stesse cose, non tutti hanno gli stessi standard: è una scoperta dolorosa all’inizio, che piano piano diventa risorsa, opportunità, ma è un processo lento. Proprio come è avvenuto per Gaspare che, alla fine, con il suo carico di sensi di colpa e sentimenti altalenanti (nei confronti soprattutto del papà lontano e della mamma che “sgobba” per lui) trova la sua strada nel mondo, e non è una strada consueta, standardizzata…
Anche io ho trovato il mio posto nel mondo, è il mio posticino caldo e confortevole. E, come Gaspare, ho trovato il mio personale riscatto. Con tanta tenerezza nel cuore per lui, per la me di allora e per tutti i ragazzini sensibili e pieni di possibilità che nel proprio percorso non trovano, quasi mai, quello che pensavano di cercare…
 

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