Un libro mi disse: Il mio Barone Rampante, ovvero la vita vista dagli alberi (post di Paolo Astrua)

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La serie Un libro mi disse prende spunto dal libro di Tiziano Terzani Un indovino mi disse: qui l’autore racconta di come la profezia di un indovino, da lui accolta in bilico tra gioco e cauta credulità, lo invitò a fare delle scelte che lo aprirono a nuove esperienze, permettendogli di scoprire un suo mondo tutto interiore. Ho scorto un parallelo con il fatto che spesso leggere un libro, un romanzo, un racconto, potrebbe essere l’occasione per conoscere meglio se stessi e dare una svolta non programmata alla propria vita.

Per la serie Un libro mi disse di seguito le ispirazioni di Paolo Astrua, il Filosofo Vegetale, scaturite dal Barone rampante di Italo Calvino.
Buona lettura! 
 
La prima volta in cui ho tentato di leggere Il barone rampante ero alle scuole medie. Non me ne sono appassionato in alcun modo, tanto da lasciarlo a metà. Era un compito da svolgere a casa e io ero refrattario alle imposizioni e ai doveri scolastici. A mia discolpa posso dire che quello non è stato uno dei momenti più facili della mia vita. Sono passati trent’anni e, riguardando il me stesso del 1989, riconosco un ragazzino ipersensibile in un mondo che richiedeva comportamenti conformi alle sue dure regole, proprio come Cosimo, il protagonista del romanzo di Italo Calvino.
Ho ripreso in mano Il barone rampante ormai giovane uomo, all’età di 22 anni. In quel periodo avevo già affrontato una serie di prove e difficoltà legate all’identità, all’andar bene così com’ero, uscendone vincitore. Da qualche anno, infatti, avevo deciso di intraprendere la strada del teatro, che in quel periodo di vita sembrava la più adatta a me, e stavo riuscendo a esprimermi al meglio anche con un certo riscontro positivo.
Devo ringraziare mia nonna Milena per l’eredità di quel libro, che trovai nella sua piccola biblioteca, dopo la sua morte. Era l’edizione della Garzanti, collana “Gli Elefanti”. Sulla copertina campeggiava un dipinto di Théodore Rousseau del 1840, che portava il nome di Un albero nella foresta di Fontainebleau e raffigurava un maestoso esemplare di quercia. Fu proprio quel dipinto a catturare la mia attenzione con tanta forza. Ricordo che sognai quell’immagine, come un luogo reale, affascinante, in mezzo alla campagna. Non sapevo ancora quale sarebbe stata l’importanza degli alberi e delle piante per la mia vita futura, ma sentivo una fortissima mancanza della natura selvatica, che sin da bambino avevo riconosciuto come ambiente d’elezione, e che in quel momento era lontana dall’artificio della vita urbana che conducevo.
Iniziai a leggere Il barone rampante una sera, con una cara amica, ad alta voce, tra una sigaretta e un bicchiere di vino. Fummo talmente presi dalla narrazione che decidemmo di leggere tutto il libro d’un fiato, nell’arco della nottata. Una full immersion un po’ estrema, complice la giovane età; un’esperienza febbrile di lettura-fiume fino all’alba, che ricordo ancora oggi.
Nella prima parte del romanzo, Cosimo è un ragazzino di dodici anni che il 15 giugno del 1767 rifiuta simbolicamente un piatto di escargots respingendo con esso tutti i manierismi e le affettazioni della sua nobile famiglia. Il padre, Barone Erminio Piovasco di Rondò, gli intima di lasciare la tavolata. Da quel momento Cosimo si arrampicherà sul leccio al centro del giardino di casa e utilizzerà gli alberi come corsie preferenziali, strade alternative a quelle terrestri, decidendo di passarvi il resto della sua vita, senza scendere più a terra.
Già dalle prime pagine mi sentii solidale con quel ragazzo che risolutamente aveva scelto una strada tanto coerente con sé stesso. Al contempo, avvertii che io, nonostante conducessi la vita che avevo scelto, avevo trascurato il legame con la mia amata natura. Mi ci sarebbero voluti ancora qualche anno e qualche esperienza prima di recuperare quel legame e rimettere in discussione alcune scelte di vita.
Prima del Barone rampante avevo già apprezzato Calvino con la sua raccolta di Fiabe Italiane della tradizione orale, con La Strada di San Giovanni (altro mio testo sacro), e con la bizzarria di Le Cosmicomiche. Ma non avrei mai pensato che la lettura di questo testo, adatto a tutti ma particolarmente consigliato ai ragazzi, mi avrebbe appassionato a tal punto da farmi divorare in seguito tutte le sue opere, fossero esse saggi o romanzi, racconti o articoli. Mi ritrovai presto in difficoltà perché i testi degli altri autori non riuscivano a parlarmi nella stessa maniera, a raggiungermi tanto direttamente. Avevo trovato con Calvino il mio autore-feticcio, mi sentivo coinvolto con lui in una specie di affinità elettiva.
La scelta di Cosimo è drastica e decisa: non mettere mai più piede a terra per tutta la sua vita. Nonostante ciò, non rinuncia alle esperienze che potrebbe fare vivendo come un uomo “normale”. Questo rimanere distaccato dal mondo terreno, direi quasi “sopraelevato”, per lui non significa essere lontano dal mondo degli uomini, tutt’altro: Cosimo prende una distanza fisica che però lo avvicina agli altri esseri umani con il cuore.
Ho vissuto un’esperienza molto simile quando mi sono reso conto che sarebbero state le piante il mio lavoro e il mio impegno quotidiano, e ho deciso di allontanarmi anch’io come Cosimo dal mondo in cui ero vissuto fino ad allora. Ho cominciato lavorando come giardiniere, tante ore in solitudine, ma in compagnia di silenziose compagne verdi. Questa attività, vissuta distaccandomi almeno in parte dal mondo degli uomini, mi ha paradossalmente aiutato a entrare in un contatto più profondo e genuino con i miei simili, mi ha sanato, permettendomi di sentire il mio cuore e quello degli altri. Oggi ho deciso di lasciare, almeno in parte, il lavoro nei giardini e di ricominciare a lavorare con le persone, per aiutarle, attraverso la mia attività di Filosofia Vegetale, a riconnettersi proprio con la natura che tutto sana e rigenera.
Negli ultimi giorni mi è venuta voglia di rileggere Il barone rampante e ciò che più mi ha colpito è stato ricostruire attraverso di esso il mio percorso di vita. Non mi ero reso conto di quanto fosse stato un testo fondamentale per me. Inoltre, questo racconto ha la capacità di farmi provare sensazioni fisiche: leggendo sento nel naso l’odore acre del legno bruciato del bosco di Ombrosa, sulla lingua il sapore di salsedine dei ciottoli su cui si infrangono le onde, nelle orecchie il suono del vecchio pino marittimo contorto e scricchiolante sotto la forza del vento notturno. La lettura del Barone rampante è stata talmente coinvolgente da diventare sensoriale, facendomi rivivere sapori, odori, suoni pescati nella mia memoria e nelle mie esperienze personali.
Ognuno di noi ha un testo di riferimento importante per la propria crescita: il mio è stato Il Barone rampante di Calvino. Se non avete ancora letto questo romanzo di formazione che è anche romanzo filosofico, se non avete ancora conosciuto l’opera di Calvino, vi consiglio vivamente di leggere Il barone rampante. Sono certo che sarà un’esperienza molto intensa, in cui vi conoscerete o ri-conoscerete. Io vi auguro che vi aiuti a processare gli avvenimenti della vostra vita e a trasformarli con consapevolezza, così come è successo a me.
 

 
 

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