Un libro mi disse: “Kafka e la bambola viaggiatrice” di Jordi Sierra i Fabra (post di Nunzia Picariello)

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La serie Un libro mi disse prende spunto dal libro di Tiziano Terzani Un indovino mi disse: qui l’autore racconta di come la profezia di un indovino, da lui accolta in bilico tra gioco e cauta credulità, lo invitò a fare delle scelte che lo aprirono a nuove esperienze, permettendogli di scoprire un suo mondo tutto interiore. Ho scorto un parallelo con il fatto che spesso leggere un libro, un romanzo, un racconto, potrebbe essere l’occasione per conoscere meglio se stessi e dare una svolta non programmata alla propria vita.

Per la serie Un libro mi disse di seguito potete leggere le sempre argute riflessioni Nunzia Picariello sul libro Kafka e la bambola viaggiatrice di Jordi Sierra i Fabra.
Buona lettura!

 

Quando mi è stato chiesto di scrivere una recensione, ho cercato a lungo il libro adatto a essere ospitato in questo spazio che contiene sempre tanti spunti per riflettere, soprattutto, sulle possibilità che possiamo offrire a noi stessi, cambiando i nostri atteggiamenti. Per questo motivo volevo parlare di un libro che in qualche modo ne rispecchiasse la filosofia; un testo la cui chiave di lettura fosse appunto: la trasformazione.
Dopo diversi tentennamenti, ho cercato qualcosa nella letteratura per l’infanzia, un genere in cui ho sempre trovato saggezza e poesia. Mi sono allora ricordata che, la scorsa primavera, avevo letto Kafka e la bambola viaggiatrice di Jordi Sierra i Fabra.
La storia trae spunto da un racconto di Dora Dyamant, ultima compagna dello scrittore Franz Kafka. Un giorno, durante una delle sue consuete passeggiate al parco, lo scrittore incontrò una bambina di nome Elsi, disperata perché aveva perso la sua adorata bambola Brigida. Kafka rimase colpito dall’autentica disperazione della bambina: le lacrime e il dolore così cocente della piccola lo spinsero ad inventare una bugia per consolarla. La sua bambola non era persa: era solo partita per un viaggio. Le aveva scritto una lettera proprio per rassicurarla. Purtroppo, lui l’aveva dimenticata a casa. Kafka così diventò “il postino delle bambole” e l’indomani avrebbe recapitato a Elsi la prima delle tante lettere di Brigida.
Elsi, lettera dopo lettera, entra in un mondo fantastico: la sua bambola è diventata una viaggiatrice avventurosa che non ha paura del mondo. Se è così sicura di sé, Brigida lo deve alla sua padrona che le ha dato molto affetto, ma le ha anche permesso di crescere. E crescere significa scontrarsi con la perdita, accettare di lasciare indietro alcune cose. Affetti, il più delle volte.
La perdita è un sentimento difficile da comprendere per chiunque, figurarsi per una bambina, ma Jordi/Kafka provano a spiegarlo con rara delicatezza e poesia toccante.
Elsi, devi sapere che vivere significa andare sempre avanti, approfittare di ogni minuto, di ogni occasione e di ogni necessità. Anche tu lo farai tra qualche anno.
Ancora, crescere molto spesso significa affrontare l’ignoto. Allora, interviene la paura:
La paura è brutta e perversa, e limita la libertà. Chi ha paura non vive, agonizza. Brigida ha avuto te come maestra, la migliore. Tu le hai insegnato a non avere paura e ad affrontare la vita quand’era necessario.
Sono parole che seminano nella piccola un profondo senso di autostima e nello stesso tempo le danno gli strumenti per affrontare il lutto e la paura della solitudine. Ma sono anche parole universali, che risuonano simili nell’intimo di ciascun lettore, bambino o grande che sia. Perché tutti siamo chiamati a superare queste prove.
Jordi ha saputo cogliere l’essenza della storia di Kafka: qualsiasi cosa succeda, occorre tenere viva la speranza.
Se non avesse tenuto fede alla parola data e si fosse presentato all’appuntamento del giorno seguente senza la lettera promessa, Elsi avrebbe smesso di credere nella natura umana.
Era in gioco la speranza.
La cosa più sacra della vita.
E così, poco importa che, come afferma alla fine del libro lo scrittore, le lettere siano state inventate e non siano mai stati rintracciati documenti scritti sulla veridicità della storia. La poetica di questa piccola favola è intensa e sa donare ai lettori una luce con cui illuminare le strade buie in cui perdiamo le nostre (bambole) certezze. Una luce di speranza
E proprio nell’infanzia esiste il lieto fine. Ma è nell’età adulta che sono molto più necessari i postini in grado di ricevere lettere che soltanto un pazzo sarebbe capace di scrivere.
Questo è l’ultimo insegnamento che possiamo leggere nelle righe di Kafka e la bambola viaggiatrice: anche se sappiamo che non esiste il lieto fine, possiamo sempre scegliere la strada della “pazzia” e rendere le cose più leggere, per noi stessi e per gli altri.

 

 

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