Un libro mi disse: “La treccia” di Laetitiza Colombani (post di Anna Maria Ranucci)

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La serie Un libro mi disse prende spunto dal libro di Tiziano Terzani Un indovino mi disse: qui l’autore racconta di come la profezia di un indovino, da lui accolta in bilico tra gioco e cauta credulità, lo invitò a fare delle scelte che lo aprirono a nuove esperienze, permettendogli di scoprire un suo mondo tutto interiore. Ho scorto un parallelo con il fatto che spesso leggere un libro, un romanzo, un racconto, potrebbe essere l’occasione per conoscere meglio se stessi e dare una svolta non programmata alla propria vita.

Il primo contributo della serie Un libro mi disse porta le riflessioni di Anna Maria Ranucci sul romanzo La treccia di Laetitia Colombani.

Buona lettura!

Fin da piccola i libri sono stati i fedeli compagni delle mie giornate.
Mi piace gironzolare nelle librerie, in cerca di novità ed in questo modo, la scorsa estate, mi sono imbattuta nel romanzo La Treccia di Laetitia Colombani.
È una storia tutta al femminile, il cui elemento fondante è, sicuramente, il coraggio.
La prima protagonista, Smita, vive in India e fa parte dei cosiddetti “intoccabili”.
Ufficialmente in quella nazione l’esistenza delle caste è stata abolita, ma in realtà ogni giorno lei deve subire una vita poverissima e squallida, ai margini della società.
Per Lalita, sua figlia di sei anni, Smita vuole, però, un futuro diverso, ma capisce ben presto che nel piccolo paese dove abitano ciò non sarà possibile.
Così una notte prende i pochi risparmi, abbandona il marito e non esita a mettere a rischio la sua vita e quella di sua figlia per fuggire con lei verso la speranza di un futuro migliore.
Giulia, invece, vive in Sicilia, ha vent’anni e conduce un’esistenza tranquilla: di giorno lavora nel laboratorio di parrucche di proprietà della sua famiglia e buona parte della notte la trascorre in compagnia dei suoi amati libri.
Improvvisamente, però, suo padre muore e lei, per caso, scopre che l’attività di famiglia è sull’orlo del fallimento e che persino la loro casa è stata ipotecata.
Infatti, negli ultimi anni, nella loro isola il commercio di capelli veri è quasi scomparso; mancando la materia prima da lavorare, anche la loro attività ha subito grossi contraccolpi.
Cosa fare? Giulia decide di andare contro la tradizione rifiutando un matrimonio di convenienza che sistemerebbe le cose. Si fa carico del laboratorio (e delle sue colleghe) e inizia a lavorare capelli importati dal subcontinente indiano.
Infine c’è Sarah che vive in Canada. È un avvocato, che ha fatto una strepitosa carriera in uno degli studi legali più prestigiosi di Montréal.
Tutto ciò però a caro prezzo: ha, infatti, dovuto rinnegare spesso se stessa per dedicarsi quasi esclusivamente al suo lavoro, delegando la cura dei suoi figli a Ron, un fantastico baby-sitter.
Ma la vita ad un certo punto, quando lei sembra essere ad un passo dal raggiungere l’apice della sua carriera, le scombina i piani. Una grave malattia, “il cancro”, le farà scoprire i valori e le persone che sono davvero importanti per lei e l’aiuterà a crearsi una vita più autentica.
Smita, Giulia e Sarah non s’incontreranno mai, però i loro destini, come ciocche di capelli, s’intrecceranno e ognuna trarrà forza dall’altra.
Che cos’è il coraggio? O meglio quanto ne occorre per poter uscire dalla propria zona di comfort o per non concedere agli altri il permesso di definire noi stessi e le nostre vite?
Le storie di Smita, Giulia e Sarah sono storie forti, per alcuni versi persino estreme, ma io credo che ognuno di noi possa riscoprire in esse una somiglianza, seppur vaga, con qualche momento del proprio vissuto.
Della parola “coraggio” mi piace molto l’etimologia che la fa derivare da un’altra parola evocativa, e cioè “cuore”, perché come sintetizza una celebre frase “il coraggio non è l’assenza di paura, ma piuttosto il giudizio che c’è qualcosa di più importante della paura”.
A mio avviso il coraggio non è solo quello che tutti noi riusciamo, quasi sempre, ad avere, in maniera inaspettata, quando ci troviamo coinvolti in situazioni gravi ed urgenti.
Esiste un coraggio meno eclatante legato alla vita di tutti giorni, che ci aiuta a non lasciarci coinvolgere dalle aspettative altrui su di noi, che ci incoraggia a fare qualcosa che ci piace, anche se dobbiamo uscire dal nostro solito ambiente e affrontare il nuovo che ci fa un po’ paura, che ci sostiene quando facciamo e rifacciamo qualcosa che sembra non riuscirci mai, che ci dà la forza di farci carico e aiutare coloro che, in qualche modo, dipendono da noi, che ci permette di essere grati per ciò che abbiamo costruito nel tempo e che può costituire la base per le nostre sfide future.
Dedico la mia opera alle donne,
legate dai loro capelli,
come una grande rete di anime.
Alle donne che amano, partoriscono, sperano,
che cadono e si sollevano, mille volte,
che mille volte si piegano ma non si arrendono.
Conosco le loro battaglie,
ne condivido lacrime e gioie.
In ognuna di loro c’è una parte di me.

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