Riti, abitudini e tradizioni: un bene o un male?

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Ingranaggi e tre orologi vintage che segnano orari diversi
Pregi e difetti di riti, abitudini e tradizioni

Oggi c’era l’appuntamento mensile del gruppo di lettura a cui partecipo insieme a psicologhe e infermiere del reparto di oncologia di un ospedale torinese.
La lettura scelta era tratta da Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry.
Ciò che mi preme raccontare è che, oltre al fatto di essere contenta per l’incontro molto partecipato, sono emerse tante riflessioni che arricchiscono i miei pensieri di questi giorni.
Il brano in questione è quello dell’incontro del piccolo principe con la volpe e, ad un certo punto, l’animale parla dell’importanza di avere un rito, termine che a me suscita sempre reazioni ambivalenti.
Sono refrattaria alla definizione di tecnica magica o religiosa utile a controllare o schermare forze naturali che si ritengono non gestibili diversamente.
Condivido appieno, invece, l’accezione adottata dalla volpe che lo intende come ciò che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora diversa dalle altre ore.
Un invito dunque a non appiattire la propria vita su abitudini monotone, che tolgono poi valore alla bellezza di piccoli gesti.
Proprio per questo provo a scansare ogni abitudine passiva che si presenti come ripetizione, automatica e incosciente, di azioni, parole, comportamenti e modi di pensare che, più che facilitarmi la vita, lusingano la mia pigrizia, ammazzano la mia curiosità e mi precludono la possibilità di fare nuove scoperte ed esperienze.
Per quanto sia sicura che si tratti di una condizione comoda, non voglio erigermi da sola la mia prigione dorata.
Mi spaventa un po’ quel tipo di rito che attinge dalla tradizione intesa come verità unica e inossidabile, quell’assorbimento inconsapevole di credenze e modi di fare che non lasciano la possibilità di discernere ciò che è una scelta individuale dal condizionamento storico e sociale.
Sono favorevole, al contrario, ai riti intesi come coccole, cura di sé stessi e degli altri e voglia di rendere speciali momenti che rischierebbero di passare inosservati e banali.
Un altro punto di vista me l’ha offerto oggi una signora, in questo periodo costretta a modificare la propria routine senza possibilità di scelta: ha confidato che per lei il rito è uno strumento per scandire il ritmo della giornata, per fissarsi dei micro obiettivi quotidiani e raggiungibili, anche quando l’umore o la debolezza la inviterebbero a lasciarsi andare alla inazione controproducente. Il rito come àncora di salvezza alla quale lei si aggrappa, alla ricerca di un conforto in un momento in cui la vita le ha tolto altre certezze ferme; le auguro si tratti solo di una parentesi breve.
E mi ritrovo a pensare a quanto sia difficile, se non impossibile, definire a priori cosa sia bene e cosa male e quanto tanto dipenda dalla circostanza che ci si ritrova a vivere, anche in base al contesto socio-culturale.
Tuttavia invito, quando e per quanto possibile, ad avere un atteggiamento critico verso i propri riti, le proprie abitudini e tradizioni.
Che siano una scelta e non un dogma imposto o autoinflitto.

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