Bookcoaching: Una vita a parte

0

 

Era l’opposto di tutte le paure, la sicurezza che la vita fosse ancora un tesoro da custodire e che quel bene fosse suo di diritto.

 

 

 

 

 

 

Da piccola uno dei miei passatempi preferiti era sfogliare per ore, seduta a terra con le gambe incrociate, due enormi volumi di arredamento che i miei tenevano sul tavolino del salotto.
Mi sono sempre divertita a immaginarmi in case tutte diverse: a ogni loro stile corrispondeva un mio stile di vita.
Tutt’oggi mi piace visitare le case, anche scorgerle dalle finestre aperte o illuminate mentre passeggio in strada e no, non si tratta di ficcanasare, piuttosto di fantasticare sulla quotidianità tra quelle pareti: mi diletto a inventarne il copione con scene, dialoghi, suoni e addirittura odori, soprattutto provo a percepirne pensieri ed emozioni.
Oh se potessi vivere tutte le vite di cui vagheggio!
Perché sì, la maggior parte delle volte la casa rappresenta la personalità di chi vi abita e non è poi così raro che quando si desidera un cambiamento nella propria vita, dopo esser passati da nuovo taglio e colore di capelli (soprattutto per le donne), è dalla casa che si (ri)parte con le modifiche, quando in quelle stanze proprio non ci si riconosce più, fino addirittura a trasferirsi altrove.
Perché la casa non è solo un tetto sotto cui ripararci dalle intemperie o proteggerci dalle ingerenze altrui: è principalmente una manifestazione esterna di noi stessi.
Facciamoci caso: quanto somigliamo alla nostra casa?
Nel romanzo Una vita a parte di Anita Brookner tra i particolari che ho apprezzato di più è che tutti e quattro i personaggi, un uomo protagonista e tre donne che costellano a vario titolo la sua vita, abbiano (o meno) una casa che riflette la loro personalità.
Come Helena millantava una popolarità e una vita sociale intensa che si era rivelata per quel che era: una finzione, così il suo appartamento era pieno di tutti quei mobili. Tutte quelle cose. E così tranquillo, lontano chilometri da tutto!
La signorina Gardner, personalità vagabonda, era di fatto senza fissa dimora e di solito stava da amici che parevano non avere un nome o un telefono: la sua evasività era un modo per scansare gli impegni.
Invece la casa abbandonata di Sarah si rivelò una brutta villa gialla con le ringhiere azzurre … l’interno era altrettanto ostile … di un certo valore, senz’altro, ma inadatta a ispirare affetto; emblema di uno sfarzo passato: lei e il marito si erano divertiti, per sua stessa ammissione, senza mai chiedersi se volevano di più … costruendo un’esistenza che si adattava a loro senza turbarli, chiusi ognuno nel proprio mondo, evitando così le domande.
Infine Sturgis, uomo educato e diligente, abitudinario, troppo serio e responsabile, incapace a godersi il momento, il qui ed ora, anche nelle storie amorose; timoroso di recare disturbo a chicchessia, compiacendone le aspettative con una gentilezza esasperata fino a soffocare qualsiasi proprio slancio passionale e reprimere un’intensa rabbia. Viveva solo in un appartamento che un tempo aveva considerato ideale, ma che ora lo deprimeva oltre l’immaginabile … che non era mai riuscito a definire casa … ogni giorno si sentiva a disagio fino a quando non usciva in strada a caccia di qualcuno cui rivolgere un sorriso … Sturgis ammetteva che l’appartamento era un’espressione delle sue ambizioni iniziali, di un innocente snobismo … ancora una volta la realtà era diversa. La realtà era soprattutto la silenziosa camera da letto sul retro, che nessuna donna frequentava da più di quanto riusciva a ricordare. … C’era una quiete che qualunque individuo raziocinante avrebbe invidiato, e che invece lo faceva sentire inerme. Se avesse gridato (cosa che si guardava bene dal fare), nessuno l’avrebbe sentito. Se si fosse sentito male non ci sarebbe stato nessuno a portata di mano … Il suo appartamento, invece, con i suoi minimi vantaggi e l’innegabile comodità, gli risultava sempre estraneo … Semplicemente non era casa.
Da qui la consapevolezza di non sentirsi più a suo agio nella comoda routine a cui si era votato per oltre settanta anni e l’esigenza di assecondare quell’agognato cambiamento per rendere tollerabile il tempo che gli rimaneva … doveva considerare l’ipotesi di mutare rotta, per quanto malvolentieri … E se avesse dovuto rinunciare a certe care abitudini, alla solitudine, alla mancanza di responsabilità, ne sarebbe valsa la pena … Non poteva più sostenere una vita di ripiego, accontentandosi di un’esistenza confortevole ma poco confortante.
A volte è necessario chiudersi la porta di casa alle spalle, e non è mai troppo tardi per farlo, guardando avanti e intraprendendo il viaggio verso una vita diversa. Verso un nuovo inizio.

 

 

(Anita Brookner, Una vita a parte, Neri Pozza, Vicenza 2010)

 

– Post pubblicato sul blog di Accademia della Felicità il 3 maggio 2017 –

Lascia un commento

Invia il commento
Please enter your name here