Bookcoaching e libroterapia sono la stessa cosa?

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Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra – che già viviamo – e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.
(Cesare Pavese)
Quando qualcuno mi chiede di cosa mi occupo e io parlo di Bookcoaching, giustamente, la prima reazione è sempre di smarrimento, per cui in genere mi affretto a spiegare di cosa si tratta.
Nel bookcoaching una storia letta in un libro può diventare uno strumento di riflessione, utile per confrontarsi con l’esterno e uscire dalla condizione di egocentrismo che spesso assumiamo quando ci sentiamo in difficoltà: temiamo di essere gli unici a vivere una determinata situazione e rischiamo di degenerare nel vittimismo, fino ad assumere comportamenti di chiusura verso il mondo con relativa sensazione di fallimento e conseguente isolamento.
La possibilità di leggere nel libro una storia simile alla nostra ci conforta del fatto che, se è stata scritta, qualcuno prima di noi l’ha vissuta: questo contribuisce a sentirci meno soli e incompresi, consente di trovare nelle pagine una risposta che cerchiamo da tempo, la soluzione a un nostro cruccio o riconosciamo l’indicazione per una strada da percorrere. Attraverso la lettura di una storia, spesso, riusciamo a comprendere meglio noi stessi e il mondo in cui viviamo e a guardarlo con maggiore obiettività.
Qualcuno ribatte che dunque libroterapia (o biblioterapia) e Bookcoaching siano la stessa cosa.
Non è così e vi racconto perché.
Pur facendo un uso simile delle storie lette, la differenza tra libroterapia e bookcoaching sta nella diversità di approccio che hanno nei confronti del “cliente” la psicoterapia e il coaching: in quest’ultimo tra coach e coachee si instaura un rapporto di co-creazione di un percorso che si vuole affrontare per conseguire un obiettivo stabilito dal coachee, nel raggiungimento del quale il coach non offre soluzioni a priori ma aiuta il coachee a trovarle dentro di sé, raggiungendo la consapevolezza di sé, la fiducia in se stesso e assumendosi la responsabilità morale, intellettuale e pratica nel perseguire un cambiamento.
Il coaching non si occupa di patologie o devianze di alcun tipo e si può mettere in atto con persone consapevoli di un proprio limite che vogliono affrontare e risolvere impegnandosi a modificare il proprio atteggiamento nei confronti di se stessi e degli altri.
L’intento del Bookcoaching, dunque, è quello di invitare il coachee a un confronto con il libro per trovare spunti di riflessione, idee su come impostare la propria strategia per la realizzazione di un obiettivo e, semmai, trovare conferma di aver intrapreso una strada utile ai propri progetti.
Le sessioni di Bookcoaching (esattamente come quelle di coaching) possono avvenire in due modi: con incontri di gruppo (in numero limitato di persone) o con un rapporto uno a uno tra coach e coachee.
Inevitabilmente, negli incontri di gruppo il tema da sviscerare lo propone il coach, mentre nel rapporto uno a uno è il coachee a farlo.
In entrambi i casi, il coach introduce il tema e propone degli esercizi di riflessione che il coachee sviluppa in autonomia e per iscritto; chi ha piacere poi può condividere quanto emerso dalle proprie riflessioni e si prosegue con la discussione.
Dopodiché il coach introduce il libro, raccontandone la trama e anticipando come nel libro viene affrontata la questione: il coachee sarà libero di scegliere se intraprendere la lettura o meno. Se il coachee decide di leggere il libro, alla fine della lettura, il coach propone una serie di ulteriori esercizi che invitano a mettere a confronto la propria situazione con quella narrata nel libro e a cercare un’ispirazione e una soluzione da mettere in pratica nella vita reale.
Come diceva una pubblicità di qualche anno fa: provare per credere!

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